Hordeum vulgare var. hybernum
Storia e curiosità
Tra i cerali ancora presenti nel patrimonio culturale e alimentare pugliese in particolare del Salento dove è indicato anche con il nome di “nostrano”, l’orzo si colloca sicuramente al secondo posto dopo il frumento. Mercuriali, memorie storiche locali, studi su agrotecnica e confronti varietali, dati produttivi e di commercializzazione a partire dal 1768 ne attestano la presenza e l’alto interesse in Capitanata come in Puglia centrale, Murgia, Arco ionico tarantino sia per uso alimentare che zootecnico.
Una inchiesta agraria del 1877, riporta che nei Circondari di Lecce e Gallipoli, l’orzo veniva seminato in grandi quantità, soprattutto per l’alimentazione dei contadini più che per foraggio diversamente da quanto avveniva nel 1880 per i circondari di Brindisi e Taranto dove invece veniva destinato ai polli ed al bestiame. A detta di alcuni contadini intervistati,
fu proprio la grandezza dei chicchi destinati all’alimentazione del pollame a determinare l’abbandono di alcune varietà locali in quanto troppo grossi e poco digeribili rispetto ad alcune varietà di orzo distico. L’importanza della coltura soprattutto nel Salento è comunque ampiamente documentata. Nel 1856 negli annali Civili del Regno delle due Sicilie si parla dell’introduzione nelle Province del Regno tra le quali la Terra d’Otranto di alcune varietà quali il peruviano ed il maliense. A partire dagli anni ’20 e con la nascita delle stazioni sperimentali agrarie cresce l’interesse per la coltivazione delle varietà locali più pregevoli di Puglia e di Sicilia, che come riportato da Pantanelli vengono poste a confronto con ibridi selezionati da Nazareno Strampelli ed orzi della Cirenaica. Presso la Stazione Agraria di Bari si dà avvio alla selezione degli orzi distici e polistici da birra e si pone particolare attenzione all’orzo nudo o “granorzo”. Quest’ultimo era segnalato all’epoca come coltura in via di estinzione nelle regioni meridionali, nonostante avesse sul grano il vantaggio di maturare prima, di sfuggire alla “stretta” ed agli attacchi tardivi di ruggine, e quale foraggio, di essere più nutritivo e non irritare l’intestino degli animali. Iniziando da buone varietà locali a sei file furono prodotti nel 1919-20 l’Orzo nudo di Bari, Orzo nudo di Altamura, Orzo nudo di Gioia del Colle e Orzo nudo di Putignano. Le differenze quantunque poco apprezzabili trattandosi di varietà coltivate in paesi vicini lasciavano sperare come diceva Pantanelli in buoni risultati per la selezione. Nel corso del progetto il monitoraggio del territorio ha confermato in particolare nelle provincie di Taranto, Brindisi e Lecce, l’abbandono di gran parte delle varietà locali a favore di varietà da birra come recentemente registrato nel brindisino e nell’Alto Salento. La presenza dell’orzo locale rimane confinata in terra di Bari in aziende prevalentemente zootecniche, e nel Salento in particolare nell’area di Sternatìa e comuni limitrofi, ad Uggiano la Chiesa, Vitigliano, Poggiardo e a Tricase, lì dove sono stati individuati gli agricoltori custodi che da sempre utilizzano la loro stessa semente e che non attribuiscono un nome alla varietà, ma la indicano genericamente come “..l’orgiu nosciu” (l’orzo nostro), da cui anche il nome di orzo nostrano. In vaste aree del Salento come in altre aree regionali, varietà nuove e più produttive hanno sostituito il “locale o nostrano” e quasi portato ad un suo completo abbandono. In base a caratteri morfologici l’orzo è suddiviso in orzo distico (due file di cariossidi lungo la spiga) e polistico (sei file di cariossidi), con spighe aristate o mutiche e cariossidi nude o vestite. Gli orzi locali raccolti di habitus prevalentemente alternativo sono in prevalenza polistici con cariossidi vestite e piante con portamento semi-eretto ed altezza variabile sino a 130 cm.
Negli anni ’40, Sibilia raccontava come nelle aree agricole di Conversano l’orzo venisse liberato dal tegumento spogliato, tostato, ridotto a polvere e quindi impiegato per ricavare il caffè d’orzo, una bevanda molto usata all’epoca soprattutto a Pasqua e Natale, mentre l’acqua d’orzo e semi di mandorle venivano impiegati per la manifattura di bevande rinfrescanti quali l’orzata. Il gazzettino di Noci del 1977, riporta ricette legate al tradizionale cibo locale dei poveri a base di orzo e ceci tostati, “la farinedde”. Anche nell’area salentina sino agli anni ’60, si è consumato quasi esclusivamente “caffè di orzo”; le massaie selezionavano e pulivano i chicchi di orzo, li stratificavano nelle teglie di alluminio e li portavano ai fornai per farli tostare. Dopo la tostatura li conservavano in sacchi di carta o di tela e li macinavano all’occorrenza, con il tradizionale macinino manuale. Nell’alimentazione regionale in particolare in quella salentina, da sempre e soprattutto nei periodi di carestìa, la farina di orzo integra la farina o la semola di grano per la produzione di pasta e pane. Nella “Statistica” Muratiana del 1811, si legge come da Lecce sino al “Capo
di Leuca”, la classe del popolo, abbia mangiato e mangi pane d’orzo, riserbandosi il pane di “fromento” per i malati, convalescenti o per farne pappa per i bambini. Oltre al pane, caratteristiche erano e sono le “frise di orzo” (taraddhi d’orgiu), indicate anche come frise “nere” per distinguerle da quelle “bianche”, di solo frumento (duro o tenero). Gli anziani raccontano di come le mamme cercassero di persuadere i loro figli a mangiare le frise nere “…mangiatele fiu mèu, cà te essene i denti d’oru!” (mangiale figlio mio, che ti usciranno i denti di oro!).
Pianta
- Portamento: semi-eretto
- Altezza (culmo, spiga e reste) (cm): 78-127 cm
- Glaucescenza spiga: da media a forte
Spiga
- Lunghezza (reste escluse): 15-20 cm
- Forma: parallela
- Densità: media
- Numero di righe: 6
Cariosside
- Glumelle: presenti
- Pubescenza della rachilla: corta
- Pelosità del solco ventrale: presente
- Colore tegumento: grigio perlato
- Colore (nuda): da biancastro a debolmente colorato
- Alternativo
- Epoca di spigatura (gg da 01.04): 31-41
- Peso mille semi: 46-51,7 g